La preadolescenza

L’età che va dai 10 ai 14 anni è molto delicata e complessa a causa delle innumerevoli contraddizioni che la caratterizzano.

Il preadolescente infatti è alle prese con la separazione (dal proprio corpo e dalla famiglia) e vive in un costante stato di “attesa e sospensione”; non è più un bambino ma non è ancora un adulto e neanche un adolescente vero e proprio.

In alcuni momenti si lascia andare al gioco infantile ma al tempo stesso se ne vergogna.

Questa fase della vita è caratterizzata inoltre dalla disillusione che, togliendo dal rapporto con i genitori il velo di idealizzazione tipico dell’età infantile, pone il preadolescente dinnanzi ai propri limiti (mamma e papà non sono più i super eroi capaci di soluzioni magiche ma hanno anch’essi dei limiti, quindi anche io ho dei limiti).

I genitori, dal canto loro, faticano molto a relazionarsi con i figli di questa età che li sollecitano continuamente all’ ”agito” costringendoli a confrontarsi con il ricordo (non sempre piacevole) della propria pubertà.

Questo insieme di repentini cambiamenti allontana il preadolescente dalla coppia genitoriale spingendolo a rifugiarsi nel gruppo dei pari, che diventa il canale di comunicazione quasi esclusivo.

Con gli amici si può giocare l’aggressività (spesso esternalizzata a questa età) prendendo le misure con il nuovo Sè nascente e con il proprio corpo, diverso, sessuato.

Psicoterapia in preadolescenza

Quando mancano altri possibili spazi di ascolto è facile che la predisposizione all’azione tipica di questa età si traduca in veri e propri “agiti” (bullismo, atti di vandalismo, crollo del rendimento scolastico) che spingono genitori ed insegnanti a chiedere l’aiuto di un professionista.

Il lavoro di psicoterapia con un preadolescente è tanto difficile quanto prezioso, soprattutto per prevenire il più possibile future problematiche adolescenziali.

Il terapeuta dovrà muoversi sulla sottile linea di confine tra il dentro e il fuori, tenendo mentalmente i genitori all’interno dello spazio di terapia (perchè il ragazzino ha ancora molto bisogno di loro) senza tuttavia rinunciare a fornire al giovane paziente uno spazio che egli possa sentire solo “suo” nel quale portare tutto ciò che di sè lo spaventa o gli crea imbarazzo o semplicemente ciò che di sè ancora non sa.

Un occhio attento saprà cogliere negli “agiti” così come nei lunghi silenzi di un preadolescente il seme di una sofferenza che, se non adeguatamente trattata, potrebbe diventare cronica e patologica negli anni a venire.